Palermo 29 luglio 2024 – Come racconta Giorgio D’Amato in un suo articolo del 2014 pubblicato su paperblog.com, era bello Pino, piaceva alle donne e la sua voce, benché io non ami il genere neomelodico, era cristallina e coinvolgente. Lo incontrai a Borgo Vecchio, uno dei quartieri palermitani più a rischio, sia per il degrado che si vive in alcune stradine, sia per le immancabili infiltrazioni mafiose che, appunto, nel degrado, nella incultura e nel bisogno di sbarcare il lunario, hanno terreno fertile e attecchiscono senza ostacoli di sorta. Forse era il 1980 e io che ogni anno per pura curiosità andavo a assistere alla festa del Borgo, lo vidi acclamato dalla folla, osannato da alcune donne del quartiere che ricevettero anche sguardi torvi da mariti e fidanzati e, quando scese dal palco, Pino andò a sedersi in un tavolo riservato allestito proprio sotto al palco e nel quale sedevano eleganti, ma troppo vistosi personaggi, dai volti a me sconosciuti, ma poco rassicuranti, con i quali persino brindò.
Pino non era il solo artista che vidi calcare quel palco negli anni, da lì passarono anche Al bano, Franco & Ciccio, Mario Merola, I Teppisti dei Sogni, solo per citarne alcuni e con tutti la scena dei baci, del tavolo d’onore, dei brindisi e degli osanna, si ripeteva di anno in anno, con le stesse facce presenti, salvo qualche defezione causa “villeggiatura” o per “dipartita” definitiva. I volti nuovi erano comunque sempre pochi.
Fu in una di queste occasioni che un mio conoscente del mondo del calcio minore palermitano, un ambiente che allora frequentavo essendo io un giovane calciatore, me lo presentò fugacemente, una semplice stretta di mano e i miei spassionati complimenti per la sua voce e questo, lo ribadisco, nonostante io non amassi allora e così oggi, il neomelodico.
Ricordo che, sempre lo stesso conoscente di cui sopra, teneva in macchina, le cassette rigorosamente “Stereo Otto”di Mario Merola, il “Re” di Napoli e della canzone partenopea e con queste i più bei motivi di Pino Marchese, dalla sua bellissima interpretazione della famosa “Malafemmina” scritta da Antonio de Curtis “Totò” a “Palermo è nu villino“, sino a “Me manche tu“, “O chiù n’fame tradimento” e la profetica “Lassame si vuò“, una sorta di testamento motivato della sua tragica fine e della conseguente fine della giovane donna della quale si era, ricambiato, invaghito. Ricordo – dicevo – che un giorno, probabilmente nel maggio del 1982 (avevo allora 24 anni) assistetti al cestinamento, si avete capto bene, cestinamento, dei dischi di Pino e delle cassette che riproducevano la sua magica voce. Chiesi perché le stessero gettando via e mi venne risposto che a Palermo qualcuno aveva dato l’ordine Lì per lì mi venne da ridere e dissi a questo mio conoscente “smettila è ridicolo” e lui con faccia truce mi rispose “un c’è nienti i ririri l’ordine e chistu e l’amu a rispettare” (non c’è niente da ridere l’ordine è questo e va rispettato) e non solo, infatti aggiunse anche “a chistu non lo sentirai chiù cantari” (a questo non lo sentirai più cantare). Vabbè, dissi tra me e me, “cosa me ne importa? tanto io dischi e cassette di musica neomelodica non ne ascolterò mai” Non avevo quindi nulla da gettare e non dovevo ottemperare ad alcun “ordine”. Ma…chi era questo “qualcuno” che aveva tempo, ardire e si prendeva la briga di emanare un simile perentorio editto e cosa mai ha fatto questo Pino Marchese?
Nel frattempo il Cantante sparì dalle feste di piazza, la sua voce non si udiva più, le sue cassette non venivano più taroccate e vendute agli angoli di strada: vuoi vedere, dissi a me stesso, che l’ordine di quel “qualcuno” è vero e viene pure rigorosamente rispettato?
Tutto mi fu abbastanza chiaro il 28 luglio del 1982, giorno in cui venne rivenuta a Piazza Indipendenza, in pieno giorno e nel pieno centro Città, una Fiat 127 nera, nel bagagliaio della quale c’era il corpo del povero Pino Marchese, evidentemente morto per le torture subite e per il taglio dei testicoli che gli erano stati poi conficcati in bocca.
Ricordo che di questo truce omicidio che aveva colpito una persona, Pino Marchese appunto, casualmente da me conosciuto, ne parlai al mafiologo Michele Pantaleone, persona me cara, sino al punto che lo chiamavo “zio Michele” e al quale mio padre, Maestro Pippo Madè aveva più volte illustrato i suoi libri contro il prepotere mafioso e tutti di denuncia contro Politici con la mafia collusi. Zio Michele, tornando all’omicidio in questione, mi confermò quanto avevo letto nei suoi testi e nella simbologia della vecchia mafia che lo Scrittore raccontava e denunciava “si tratta di donne – disse Pantaleone – avrà sicuramente toccato una donna che non doveva toccare, una donna che non era sua“.
Poi le indagine, protrattesi negli anni e con queste in particolare le dichiarazioni di alcuni Collaboratori di Giustizia, svelarono il mistero dell’omicidio di Pino Marchese e non solo il suo, infatti, non molti anni dopo, gli stessi Killer del Cantante palermitano, cioè Giuseppe Lucchese, detto “Lucchiseddu” e Giuseppe Greco, detto “scarpuzzedda“, uccisero anche Giuseppina Lucchese, sorella di uno dei killer di “cosa nostra”, poiché rea, secondo l’arcaico “codice d’onore” della mafia, di aver infangato il nome della famiglia, tradendo il marito e innamorandosi di un’altro uomo.
Una triste, tristissima storia d’amore, spezzata, non da un marito tradito, ma dall’allora imperante “codice” di una mafia spietata che ancora una volta sfatava il mito de “le donne non si toccano” che unitamente a quello che “la mafia non uccide i bambini“, è una grande falsità, attestata dalla storia e dai nomi dalle tante giovani Vittime.
Sono passati ormai trentadue anni da quel 28 luglio 1982 e Pino Marchese che oggi riposa, come ho appreso di recente, nel Cimitero dei Rotoli di Palermo, mi torna spesso in mente, così come mi tornano in mente alcuni omicidi che, per puro caso, in quella pericolosissima Palermo degli anni ’70/’80, mi toccarono da vicino, da molto vicino.
Mi conforta solo apprendere, sempre attraverso il ricordo scritto di Giorgio D’Amato che già allora i Palermitani, apprese le motivazioni degli omicidi di Giuseppina e Pino, se ne infischiarono della mafia e, più o meno silenziosamente, si ribellarono: dalla Vucciria alla Kalsa, dal Papireto a Borgo Nuovo, da Danisini sino quel Borgo Vecchio dove io strinsi la mano a Marchese, tutti ricomprarono i suoi dischi, le sue musicassette, rigorosamente taroccate e ricominciarono a riascoltare la sua voce che ancor oggi, di tanto in tanto, sui Social, da Facebook a Tik Tok, si fa largo, tanto da rinverdire il mio ricordo e immagino anche il ricordo di quanti lo conobbero.