Palermo 30 luglio 2024 – Si, l’ho conosciuta “Nerina” e oggi a distanza di quarant’anni, vi racconterò come e perché.
Erano le prime luci dell’alba del 1 marzo 1982, una giornata abbastanza calda e due uomini che sembravano voler nascondere il volto dietro al colletto dei loro impermiabile bianco alzato all’insù, passano accanto a me e Giuseppe (nome inventato). Loro, i due strani individui, salivano, mentre noi scendevamo da quell’allora per me triste terzo piano di Piazza Sant’Oliva, dove di tanto in tanto, con molto disagio, ero “costretto” a recarmi per non lasciar solo Giuseppe e per assecondare le sue pressanti richieste di compagnia.
Uno dei due tizi dallo strano aspetto, mi sembrò nascondere qualcosa sotto all’impermiabile, tanto che teneva il braccio destro in una posizione anomala, proprio come se reggesse qualcosa da nascondere. Io e Giuseppe attraversammo Piazza Sant’Oliva e raggiungemmo la Fiat 126 giallo senape intestata e prestatami da mia madre e non avevamo ancora chiuso la portiera che le persiane, regolarmente chiuse ma con le scalette recrinate a 45° di quel terzo piano, fecero filtrare tre o quattro bagliori ai quali si accompagnarono delle fragorose esplosioni, subito realizzai che qualcuno avesse sparato, misi frettolosamente in moto la 126, proprio mentre in lontananza si udivano già le sirene della Polizia e mentre Giuseppe mi chiedeva “ma cosa è successo?” e sgattaiolai velocemente dal luogo di quello che sembra essere un possibile fatto di cronaca, rispondendo “non hai capito? Hanno sparato e mi sembra che gli spari provengano dalla casa di Nerina. Te lo avevo detto – proseguii – che quella casa non mi piace“.
All’indomani, i notiziari prima e nel pomeriggio il Quotidiano “L’Ora“, raccontarono nel dettaglio del triplice omicidio della trenatnovenne Caterina Mercurio, negli ambienti della prostituzione conosciuta come “Nerina“, del ventottenne Salvatore Pavoniti e del trentenne Salvatore Ciotti, uno era l’inserviente della ragazza e l’altro un cliente occasionale, due persone, quest’ultime che io e lo stesso Giuseppe, avevamo lasciate pochi minuti prima, vive e in salute, in compagnia dell’altrettanto frizzante “Nerina“.
Giuseppe, uomo maturo e dalla posizione economica consolidata, persona nota negli ambienti sportivi della Palermo di allora, ma dalla vita matrimoniale caotica e poco appagante, si era, a suo dire, perdutamente innamorato di della ragazza di vita, tanto che lo avevo più volte esortato alla ragionevolezza ma lui, risoluto e indomito com’era, mi aveva invitato a farmi i fatti miei e così, tutte le volte che si usciva insieme, dopo il cinema o dopo la pizza, a seguito delle sue pressioni, finivamo a Piazza Sant’Oliva da “Nerina“. Spesso io aspettavo in auto, perché quelle luride scale che salivano al terzo piano, quel pianerottolo sempre riondante di urina e quel nauseabondo fetore misto a creolina, mi risultavano insopportabili e anche perché, un paio di volte, in quel cupo e decadente salottino d’attesa, avevo incontrato alcuni miei colleghi dello I.S.E.F. (Istituto Superiore Educazione Fisica) e la cosa m’imbarazzava non poco e poi, alla fin fine, a voler andare con “Nerina” non ero io ma bensì Giuseppe. Altre volte accompagnavo il mio attempato amico sin lassù, per evitare di rimanere da solo in auto ad attendere, delle volte per più di un’ora e tutte le volte che Giuseppe aveva ultimato la sua “pratica“, la povera “Nerina” mi sorrideva e mi diceva “devi entrare?” e io “no grazie, sarà per la prossima“.
Un giorno, trovandomi nei pressi di Via Dante, dove abitavano e risiedono a tutt’oggi i miei genitori, incontrai “Nerina“, la quale, con molta discrezione, mi fece cenno, come se avesse qualcosa da dirmi, la salutai come si saluta una vecchia amica e nonostante ci fossero tanti passanti, nessuno si insospettì. Caterina Mercurio detta “Nerina“, era una ragazza dall’aria semplice, una che non vestiva in maniera egocentrica, una che non si truccava pesantemente come tante prostitute di allora, aveva un viso lindo che oggi, a tanti anni di distanza, potrei paragonare a quello di showgirl Flavia Vento. “Nerina“, con molta tenerezza, quel giorno mi disse “come tu sai il faccio il mestiere a quindi chi mi porta danaro è benvenuto e chi più me ne porta meglio è per me, ma il tuo amico Giuseppe – proseguì la donna – mi fa veramente pena, lui non fa sesso, parliamo soltanto, mi racconta tante cose e poi mi lascia sempre centomila lire, sta sperperando – concluse – un patrimonio e mi dispiace per la sua famiglia, perché si vede che è una brava persona“. Per un attimo rimasi impietrito, non sapevo proprio cosa rispondere e ricordo che riuscii solo a dirle “proverò a parlargli ma Giuseppe è testardo non da retta a nessuno“, poi, dopo pochi giorni da quell’incontro, la tragedia, un disgraziato alone di morte che tutte le volte che passo da Piazza San’Oliva, una Piazza dove non è stata uccisa solo “Nerina” (nei locali dove c’è oggi un ristorante venne massacrata a copi di catenaccio un’altra “lucciola”) con gli altri due in casa con lei, riecheggino nelle mie orecchie quel lampi e il fragore di quei boati e poi le sirene della Polizia.
Del triplice omicidio, del quale si occupò a lungo la Squadra Mobile e la Procura di Palermo, sino alle rivelazioni di un Collaboratore di Giustizia, il quale, anni dopo, nel 1989 per l’esattezza, in occasione del suo arresto per la “Strage di Piazza Scaffa“, dove caddero ben otto persone, raccontò che “Nerina” era stata uccisa dalla mafia e che egli stesso aveva preso parte al triplice omicidio. Il “pentito” raccontò che si trattò di uno sgarro nell’ambiente dello spaccio di droga. Per farla breve, secondo le citate rivelazioni, la donna, oltre a prostituirsi, aveva iniziato a spacciare in proprio, senza il permesso e senza dividere i proventi con “Cosa Nostra” e l’organizzazione aveva sentenziato la sua morte e l’omicidio casuale degli altri due poveracci. Quella mattina, se solo io e Giuseppe avessimo perso tempo in convenevoli, i morti quella sera sarebbero stati cinque!
Di “Nerina“, oltre al collega Francesco Sicilia di Palermotoday ha più volte raccontato Letizia Battaglia, l’ultima volta nel 2020 a La Repubblica. Letizia era allora Fotoreporter de L’Ora, lo storico e rimpianto Quotidiano dei pomeriggi palermitani, tanto che non posso non pubblicare la famosa foto che è stata inclusa in un suo libro. La Battaglia ha raccontato quando fosse rimasta profondamente turbata, lei che di morti ammazzati ne aveva già visti e fotografati parecchi, non solo dalla scena del delitto consumatasi all’ombra di un poster allegato al settimanale “Intrepido“, dove anche i miei occhi si erano più volte posati e che ritraeva la bella e allora giovane Carmen Russo a seno nudo e con un pallone tra le mani, in omaggio ai “Mondiali ’82“, vinti dall’Italia di Enzo Bearzot, ma soprattutto perché era per lei il primo omicidio di mafia che vedeva vittima di morte cruenta una donna. La Fotoreporter palermitana si soffermò anche sul dettaglio del commovente “rigagnolo di sangue che le scorreva sul braccio dalla candida pelle” e sulla posizione degli altri due uccisi, uno seduto sul divano e con la testa reclinata all’indietro e l’altro disteso sul pavimento.
Insomma, in quel primo marzo del 1982, sia io che “Giuseppe”, la scampammo bella!