
Foto Archivio Rosario Lo Cicero Madè
Pubblico un mio articolo del 2003, riveduto e corretto, pubblicato allora, grazie alla richiesta fattami dal Direttore di “Sicilia Motori“, Dario Pennica.
L’1 aprile del 1951 venne scritta una delle pagine più tristi del “Giro Automobilistico di Sicilia” del quale in quell’anno si disputava l’XI^ edizione. Alle 10 del mattino di quella domenica di primavera, per le conseguenze di un grave incidente avvenuto alle porte di Siracusa, persero la vita due protagonisti delle corse di quei tempi: Stefano La Motta barone di Filicino e Monserrato, e Francesco “Ciccio” Faraco.
La Motta era nato a Palermo il 2 ottobre del 1920, e la sua vita fu per gran parte votata dallo sport. Fondò il poligono di “Tiro a piccione” che sorgeva nella borgata palermitana di Romagnolo e l’ippodromo “La Favorita” che un tempo portava il suo nome. La vicinanza a Vincenzo Florio e l’amicizia con Raimondo Lanza di Trabia, fecero nascere in lui l’irrefrenabile passione per l’automobilismo. Inizia così, la sua carriera di pilota, con al fianco il meccanico-pilota Gino Alterio. La sua prima auto da corsa – nel 1948 – fu una Cisitalia 202 SMM (Spyder Nuvolari).
La X^ edizione del “Giro di Sicilia”
Con la vetturetta disegnata da Piero Dusio coglie tante affermazioni nella sua “classe” e monopolizza l’attenzione degli sportivi. Il carattere vulcanico ed irruento, accompagnano La Motta anche in politica: è fra i fondatori del “Partito Separatista” di Finocchiaro Aprile. Nel contempo ottiene risultati di prestigio al volante: nella X^ edizione del Giro di Sicilia, del 1950, si piazza la terzo posto assoluto con una Ferrari 166 S.
Esemplare unico carrozzata Barchetta da Allemano e che prima di essere acquistata da La Motta vinse la Targa del ’48 con Clementino Biondetti, preceduto dall’altra 166 versione MM di Bernabei-Pacini e dalla vittoriosa Alfa Romeo 6c 2500 Competizione guidata dai Fratelli Bornigia. Anche per Francesco “Ciccio Faraco” quel “Giro” del 1950, risultò soddisfacente, infatti, coadiuvato da Rosario Montalbano giunse 8° assoluto al traguardo, pilotando la piccola Cisitalia 202 SMM, proprietà del barone Antonio Pucci, allievo di guida e amico prediletto di Faraco.
“Ciccio”, grazie anche a quel risultato, vinse il titolo di Campione Siciliano della Classe 1100 Sport. Titolo che dedicò all’amico e pilota Costantino Magistri, con il quale aveva esordito all’età di 27 anni, alla Targa Florio del 1935, piazzandosi 4° assoluto, a bordo dell’Alfa Romeo da loro stessi preparata nelle officine di Carlo Gasparin. Francesco “Ciccio” Faraco era nato, per la cronaca, in provincia di Caltanissetta, a Mazzarino, il 30 maggio del 1908.
Il ritorno a Palermo
Giovinassimo si era trasferito a Palermo, dopo aver preso parte ad alcuni corsi indetti direttamente dall’Alfa Romeo. Entrò subito in contatto con Costantino Magistri e Carlo Gasparin. Grazie a loro, esplose irrefrenabile, la sua passione per la velocità e per la meccanica. Nel 1951, La Motta, stimolato dai vertici dell’Alfa Romeo e dagli amici Lucio Tasca e Raimondo Lanza, abbandonò la Ferrari 166 MM, con la quale l’anno precedente, insieme al fido Gino Alterio (contrario al cambio vetture), si erano piazzati al terzo posto assoluto.
Preferendo l’Alfa Romeo 1900 che la Casa milanese doveva lanciare sul mercato. Alterio raccontò personalmente al “cronista” che il motivo del loro dissidio fu causato proprio da questa automibile.
“Il Barone non volle darmi retta – dichiarò – collaudammo sul viale del Fante di Palermo una delle quattro Alfa Romeo 1900 che aveva acquistato. Mi sistemai alla guida e poco dopo esternai tutte le mie perplessità. Macchina poco maneggevole, molto potente ma con un cambio al volante e dei freni per nulla adatti alle strade siciliane del Giro. Dissi al Barone – proseguì il già anziano preparatore – che ritenevo la 1900 troppo rischiosa e che non me la sentivo di correrci. Invitandolo – concluse Alterio – a proseguire con la Ferrari. Ma non ci fu nulla da fare. La Motta era irremovibile e io decisi di non affiancarlo nella circostanza”.
L’impegno di La Motta
A La Motta occorre urgentemente un copilota, uno che conosca bene le strade siciliane, capace anche di prendere il volante e all’occorrenza di agire pure sulla meccanica in caso di guasto e così la scelta cadde quindi su Faraco che aveva già disputato due edizioni del “Giro” al fianco di Pucci. E che l’anno prima aveva tenuto un lusinghiero risultato come prima guida. Ciccio, pur lusingato dalla scelta del Barone, declinò però l’invito. Ormai quarantenne, con la responsabilità di cinque figli e in quel periodo debilitato da una fastidiosa febbre causata da un persistente stato influenzale, ringraziò e disse di no. Ma La Motta, risoluto ed irremovibile come sempre, insistette. Si presentò a casa di Faraco con una allora quasi introvabile “Aspirina” americana e lo invitò perentoriamente a prendere parte alla gara al suo fianco. Faraco Cedette, anche perchè gli venne promesso un ruolo importante all’interno della concessionaria Alfa Romeo che La Motta aveva intenzione di aprire a Palermo e va, inconsapevolmente, incontro così al suo destino.
I dubbi di Faraco
La viglia della corsa non fu gioia. Faraco, come sopra accennato, era debilitato dalla febbre. Salutò la moglie Bianca e i cinque figli Ferdinando, il più piccolo e unico maschio, Giacinta detta Pupa, Savoia, Francesca e Bianca Stella che ancora dormivano. A piedi, abitando nella contigua via San Martino, si avviò verso piazza Castelnuovo, storico punto di concentramento del “Giro”. Nella piazza le auto sono già schierate in attesa del “via”. La Motta consuma un fugace spuntino al ristorante “Castelnuovo” e dopo si avvia verso l’Alfa 1900 e viene avvicinato da un amico che gli rivolge il classico “In bocca al lupo, Stefano”.
Lui risponde con strano sarcasmo e l’altro tira fuori una banconota. La strappa a metà e ribatte, “Dividiamola”. La ricongiungeremo domani quando con Ciccio taglieremo, da vincitori, il traguardo del “Giro”.
La Motta ringrazia e ripone nel taschino della camicia la banconota strappata. Alla loro Alfa Romeo 1900 era stato assegnato il numero 222, il quale indicava l’orario di partenza (22.22). Ma qualcosa non andava. I verificatori avevano cercato più volte di dipingere il numero sulle portiere (a quei tempi, veri pittori, si occupavano di questa operazione, dal momento che non esistevano ancora gli adesivi), ma la vernice a base di anilina non aveva presa sulla carrozzeria e scivolava su questa. La cronaca, ripresa dal Giornale di Sicilia del tempi, riferisce di un La Motta spazientito per il contrattempo, ordinò loro di usare una vernice nera. Nel frattempo anche Faraco era giunto a Piazza Castelnuovo.
Ciccio era probabilmente anche un po’ turbato, infatti, sul portone di casa – come raccontò poi la moglie Bianca – era stato bloccato da una sorta di portinaia che si vociferava avere “poteri paranormali” e di “veggenza”. “Don Ciccio, un ci issi a curriri, mia dia retta, i lassassi perdiri!”, gli disse nella notte. Ciccio sorrise e la invitò a tornare a letto. Un pensiero certo subito scacciato e dimenticato quando Faraco si mise al volante, avvio e scaldò il motore, raggiungendo così la linea di partenza. Dove ricevette le ultime raccomandazione della giovane baronessa La Motta (come testimoniano le foto in possesso del Redattore di quest’articolo).
La Motta al volante
Quindi cedette il volante a La Motta e si accomodò al suo fianco fianco. Erano sette le Alfa 1900 in gara. Le più accreditate. Oltre a quella di La Motta – Faraco vi erano le altre pilotate da Raimondo Lanza e Felice Bonetto. A Catania il volante passò a Faraco che mantenne il ritmo infuocato della gara, quindi toccò a La Motta che guidò con grinta fino a Siracusa, dove al “controllo orario” apprese di essere in testa alla gara, seguito proprio da Bonetto, quest’ultimo in grade recupero. Il Barone palermitano aumenta così l’andatura, ma all’ingresso di Priolo Gargallo, la tragedia. La bianca Alfa Romeo 1900imboccò la curva di Via Castel Lentini, un lungo rettilineo con una corva secca a sinistra, una curva che La Motta “sembrava morto al volante” raccontò al Redattore uno spettatore quel giorno presente, ma la vettura va a schiantarsi, benché Ciccio abbia percepito il problema, tanto da mettersi quasi in piedi e cercando di girare il volante verso sinistra, sul muro della casa di proprietà della famiglia Mazzotta.
E sono proprio i coniugi Mazzotta, così come raccontarono successivamente, con l’aiuto di altri concittadini e il comandante della locale stazione dei Carabinieri, Maresciallo Blunda, ad estrarre i due malcapitati compagni dalle lamiere contorte della bianca Alfa 1900. L’orologio segnava le 10.15. Mazzotta, la cui ultima intervista risale al 1995, benché ormai avanti negli anni, era al tempo perfettamente lucido, così come lo era la moglie.
L’incidente
Neppure loro sanno dare una spiegazione plausibile all’incidente. Ebbe un improvviso malore Stefano La Motta, oppure venne causato da un guasto al cambio che sembrò bloccato in quarta? Fu forse l’effetto “boccia” (le teste dei piloti che cozzano dopo un sobbalzo della vettura) dopo un salto dovuto ad un avvallamento stradale a far perdere i sensi a La Motta, Ipotesi avanzata da Pino Fondi, autore de “Il Mitico Giro di Sicilia” (Giorgio Nada Editore)?
La verità non si seppe e forse mai si saprà. L’Alfa Romeo fece frettolosamente sparire l’auto e il reparto corse, interpellato dai parenti, non ha mai fornito alcuna risposta. Sono trascorsi oltre sessant’anni ma a Priolo Gargallo il ricordo di quell’incidente è ancora vivo. Nei “Circoli”, ad esempio, si fa un gioco con le carte, simile alla canasta e così, nell’accumulare punteggio, quando i giocatori sono in prossimità o addirittura giungono al numero “222”, gli avversari ammoniscono con un “Accura, La Motta – Faraco”, proprio come fosse un numero presagio di sventura.
Il post incidente
Il presagio di sorte infausta, insomma, echeggia ancora nell’aria e si tramanda ai più giovani. Le salme di La Motta – Faraco vennero portate in un vero “corteo funebre” da Priolo sino a Palermo, tra la disperazione degli amici, dal barone Bordonaro al barone Riso, fino al “Beppuccio” Cammarata e all’inconsolabile Raimondo Lanza di Trabia (una foto ne testimonia il pianto convulso).
A Palermo le salme vennero esposte nella sede della C.S.A.S. “Comitato Sportivo Automobilistico Siciliano” di Via Amerrico Amari, nei locali laterali attigui al teatro Politeama. Il Sindaco Guido Avolio, decretò il “lutto cittadino” ed il Presidente della Regione, Giuseppe Alessi, rese omaggio ai due sfortunati piloti. Il giorno dei funerali, una interminabile e commossa folla seguì i feretri portati a spalle per le vie principali della città.
Per ricordarne degnamente la memoria venne collocata, all’indomani, una lapide sul luogo dell’incidente. Poi rimossa nel 1972 in conseguenza di una profonda ristrutturazione della casa Mazzotta, la quale ebbe cura di consegnare la lapide al comune che ne avrebbe dovuto curare la ricollocazione. Come spesso accade ciò non avvenne. Solo 19 anni dopo, Rosario Lo Cicero Madè, nipote di Ciccio Faraco, sostenuto dai genitori Giuseppe “Pippo” Lo Cicero Madè e dalla mamma Savoia Faraco, terzogenita del pilota defunto, venuti a conoscenza di questo fatto, iniziarono una “battaglia” sostenuta dalle riviste ROMBO e Ruote Classiche e dai quotidiani Corriere dello Sport e Giornale di Sicilia.
La fine delle querelle
E così finalmente, il primo ottobre del 1995, il sindaco, contatatto anche da Leoluca Orlando, allora Sindaco di Palermo, Girolamo Radino, entrambi de “La Rete”, posero fine alla querelle, ricollocando una lapide sul luogo esatto dell’incidente nel corso della festa patronale del centro siracusano dedicata all’Angelo Custode. “Decisivo – Ricorda Rosario Madè- fu l’apporto di Leoluca Orlando, allora Primo Cittadino di Palermo, il quale messo al corrente della vicenda, volle intercedere nei confronti del Collega e componento dello stesso Movimento da lui fondato”.
In quell’assolato primo giorno di ottobre di 17° anni addietro c’era anche Antonio Pucci – insieme ai parenti di Ciccio Faraco – per rendere omaggio all’amico e maestro, ma è sempre Rosario Madè a ricordare, “quando il Sindaco Radino scopri la lapide mi si raggelò il sangue, infatti, all’epitaffio da me e dall’amico, purtroppo prematuramente scomparso, Giovanni Blunda, uno zelante e non autorizzato scalpellino, aveva aggiunto alla Alfa Romeo 1900, auto con la quale i due piloti morirono, un terrificante, per gli esperti di automobilismo, Giulietta che è è un vero pugno allo stomaco e che non so proprio come possa essere corretto, infatti – prosegue Rosario – nel 1951, anno dell’incidente, l’Alfa Romeo non aveva ancora messo in produzione la Giulietta, auto che verrà prodotta a partire dal 1955 e sino al 1966“.